DENNIS OPPENHEIM – SCULTURE 1979-2006

By 4 Ottobre 2013 Mostre, Dennis Oppenheim

DENNIS OPPENHEIM

SCULTURE 1979-2006
Dal 4 ottobre al 23 novembre 2013

DENNIS OPPENHEIM

SCULTURE 1979-2006
Dal 4 ottobre al 23 novembre 2013

Testo

Galleria Fumagalli, in collaborazione con Spazioborgogno, inaugura la stagione nello spazio del Museo Pecci di Milano, con un’ampia personale dell’artista americano Dennis Oppenheim esclusivamente dedicata alla sua produzione plastica. La rassegna, a cura di Alberto Fiz e Amy Oppenheim, moglie dell’artista scomparso nel 2011, presenta un’ampia selezione di sculture che coprono un arco temporale di quasi un trentennio e spaziano da Tear Drop Room del 1979, una metaforica stanza che contiene una gigantesca lacrima, sino a Volcano del 2006 dove un vulcano, con i fumi che sembrano salire dal pavimento, modifica l’ambiente della galleria. Tra i più importanti artisti del dopoguerra, Oppenheim si è distinto per essere stato artefice di alcune esperienze basilari come la Land Art, la Body Art, l’Arte Ambientale e la Public Art. L’ipotesi rigenerativa e la continua metamorfosi all’interno di un universo precario e instabile sono alla base di tutta l’indagine dell’artista americano, presentato  per la seconda volta in una personale alla galleria Fumagalli (la prima è stata nel 2010). Le sue sono opere destabilizzanti e sfidano costantemente i limiti e sviluppano una nuova percezione dello spazio fisico e psicologico dando vita a un’imprevedibile ibridazione in grado di anticipare persino le nuove frontiere della scienza e della medicina dove la sostituzione degli organi con le protesi appare sempre più frequente. Dennis Oppenheim sviluppa un universo molecolare dove si crea un dialogo rinnovato tra le forme artificiali e quelle naturali.

Tutto appare geneticamente modificato: «La sua vicenda artistica», afferma Alberto Fiz,«non è caratterizzata dalla semplice presenza dell’oggetto, bensì dalla sua trasformazione. Un processo entropico che amplia la sfera della conoscenza sviluppando una rinnovata percezione del contesto spazio-temporale. L’esistenza della cosa in sé subisce un radicale cambiamento innestando un meccanismo di alterazione e devianza. Ciò che appariva stabile, entra definitivamente in crisi sviluppando una precarietà consustanziale al suo stato in base a un principio che tende a una progressiva implicazione dell’essere e del paesaggio». La sua opera rappresenta una sfida continua delle regole dove l’esperienza viene messa in discussione destabilizzando qualunque certezza. Con ironia, l’artista americano crea una sorta di Land Art domestica dove ospita i fenomeni della natura, sia essa il vulcano o gli Acting Strokes, veri e propri lampi che si depositano sulla parete. Nello stesso tempo ciò che ha una destinazione domestica, come i ferri da stiro, diventano gli attivatori di energia per le piante di cactus (Iron Cactus, 1994), così come i fusi antichi delle macchine da cucire assumono l’aspetto visionario di ballerine rotanti (Four spinning dancers, 1989). In altri casi gli oggetti si antropomorfizzano e in Two objects (1989) la sedia e la poltrona tentano di riprodursi attraverso un parodistico rapporto sessuale, mentre con Blushing Machine (1996) si crea una macchina che arrossisce, quasi avesse una reazione di carattere emotivo.

Dennis Oppenheim opera sulla devianza e sulla dissonanza creando per ciascun lavoro un sistema linguistico autonomo. In questa direzione non manca nemmeno una critica costante al funzionalismo e al tecnicismo esasperato e a tal proposito appare particolarmente significativo un oggetto ibrido come Lamp Dog (1996) che fa il verso al design. La casa, del resto, compare costantemente nella sua ricerca che la rende partecipe della nevrosi collettiva. L’artista americano rompe gli schemi di un’estetica consolatoria e i suoi lavori contengono, spesso, una doppia lettura. Accanto a un aspetto ludico e metamorfico, è costante una componente di forte inquietudine e persino di pericolo. Lo dimostra un lavoro celebre come Deer (1990) con al centro un cervo in fibra di vetro dalle cui corna esce il fuoco innescato dalle bombole a gas. Evidentemente, la prolungata accensione della fiamma condurrebbe all’assorbimento dell’energia e alla conseguente saturazione dell’ambiente: «Spesso c’è un lato oscuro in quello che faccio, che devo manovrare con attenzione», avverte Dennis Oppenheim che rivela nel suo lavoro la presenza di “ombre” che costringono lo spettatore a interrogarsi sull’assoluta instabilità di ciò che lo circonda. In occasione della sua prima mostra personale organizzata nel 1968 alla John Gibson Gallery di New York, il comunicato dell’evento riportava la seguente affermazione: «La scultura di Dennis Oppenhiem è Viva e in Crescita». Tale affermazione è tanto più valida oggi dove appare evidente l’aspetto inafferrabile di un’arte plastica che non è mai fine a se stessa ma rivela l’aspetto paradossale e ambiguo di cose che ci appartengono e partecipano alla nostra avventura esistenziale.

Testo

Galleria Fumagalli, in collaborazione con Spazioborgogno, inaugura la stagione nello spazio del Museo Pecci di Milano, con un’ampia personale dell’artista americano Dennis Oppenheim esclusivamente dedicata alla sua produzione plastica. La rassegna, a cura di Alberto Fiz e Amy Oppenheim, moglie dell’artista scomparso nel 2011, presenta un’ampia selezione di sculture che coprono un arco temporale di quasi un trentennio e spaziano da Tear Drop Room del 1979, una metaforica stanza che contiene una gigantesca lacrima, sino a Volcano del 2006 dove un vulcano, con i fumi che sembrano salire dal pavimento, modifica l’ambiente della galleria. Tra i più importanti artisti del dopoguerra, Oppenheim si è distinto per essere stato artefice di alcune esperienze basilari come la Land Art, la Body Art, l’Arte Ambientale e la Public Art. L’ipotesi rigenerativa e la continua metamorfosi all’interno di un universo precario e instabile sono alla base di tutta l’indagine dell’artista americano, presentato  per la seconda volta in una personale alla galleria Fumagalli (la prima è stata nel 2010). Le sue sono opere destabilizzanti e sfidano costantemente i limiti e sviluppano una nuova percezione dello spazio fisico e psicologico dando vita a un’imprevedibile ibridazione in grado di anticipare persino le nuove frontiere della scienza e della medicina dove la sostituzione degli organi con le protesi appare sempre più frequente. Dennis Oppenheim sviluppa un universo molecolare dove si crea un dialogo rinnovato tra le forme artificiali e quelle naturali.

Tutto appare geneticamente modificato: «La sua vicenda artistica», afferma Alberto Fiz,«non è caratterizzata dalla semplice presenza dell’oggetto, bensì dalla sua trasformazione. Un processo entropico che amplia la sfera della conoscenza sviluppando una rinnovata percezione del contesto spazio-temporale. L’esistenza della cosa in sé subisce un radicale cambiamento innestando un meccanismo di alterazione e devianza. Ciò che appariva stabile, entra definitivamente in crisi sviluppando una precarietà consustanziale al suo stato in base a un principio che tende a una progressiva implicazione dell’essere e del paesaggio». La sua opera rappresenta una sfida continua delle regole dove l’esperienza viene messa in discussione destabilizzando qualunque certezza. Con ironia, l’artista americano crea una sorta di Land Art domestica dove ospita i fenomeni della natura, sia essa il vulcano o gli Acting Strokes, veri e propri lampi che si depositano sulla parete. Nello stesso tempo ciò che ha una destinazione domestica, come i ferri da stiro, diventano gli attivatori di energia per le piante di cactus (Iron Cactus, 1994), così come i fusi antichi delle macchine da cucire assumono l’aspetto visionario di ballerine rotanti (Four spinning dancers, 1989). In altri casi gli oggetti si antropomorfizzano e in Two objects (1989) la sedia e la poltrona tentano di riprodursi attraverso un parodistico rapporto sessuale, mentre con Blushing Machine (1996) si crea una macchina che arrossisce, quasi avesse una reazione di carattere emotivo.

Dennis Oppenheim opera sulla devianza e sulla dissonanza creando per ciascun lavoro un sistema linguistico autonomo. In questa direzione non manca nemmeno una critica costante al funzionalismo e al tecnicismo esasperato e a tal proposito appare particolarmente significativo un oggetto ibrido come Lamp Dog (1996) che fa il verso al design. La casa, del resto, compare costantemente nella sua ricerca che la rende partecipe della nevrosi collettiva. L’artista americano rompe gli schemi di un’estetica consolatoria e i suoi lavori contengono, spesso, una doppia lettura. Accanto a un aspetto ludico e metamorfico, è costante una componente di forte inquietudine e persino di pericolo. Lo dimostra un lavoro celebre come Deer (1990) con al centro un cervo in fibra di vetro dalle cui corna esce il fuoco innescato dalle bombole a gas. Evidentemente, la prolungata accensione della fiamma condurrebbe all’assorbimento dell’energia e alla conseguente saturazione dell’ambiente: «Spesso c’è un lato oscuro in quello che faccio, che devo manovrare con attenzione», avverte Dennis Oppenheim che rivela nel suo lavoro la presenza di “ombre” che costringono lo spettatore a interrogarsi sull’assoluta instabilità di ciò che lo circonda. In occasione della sua prima mostra personale organizzata nel 1968 alla John Gibson Gallery di New York, il comunicato dell’evento riportava la seguente affermazione: «La scultura di Dennis Oppenhiem è Viva e in Crescita». Tale affermazione è tanto più valida oggi dove appare evidente l’aspetto inafferrabile di un’arte plastica che non è mai fine a se stessa ma rivela l’aspetto paradossale e ambiguo di cose che ci appartengono e partecipano alla nostra avventura esistenziale.

Vedute

Dennis Oppenheim, Sculture 1979-2006, 2013
Dennis Oppenheim, Sculture 1979-2006, 2013
Galleria Fumagalli & Spazioborgogno Milano
Dennis Oppenheim, Sculture 1979-2006, 2013
Dennis Oppenheim, Sculture 1979-2006, 2013
Galleria Fumagalli & Spazioborgogno Milano
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